Gli altri migravano: per mari
Celesti, supine, su navi solari
Migravano nella eternità.
I siciliani emigravano invece.
Alle marine, nel fragore illune
Delle onde, per nuvole e dune
A spirale di pallide ceneri
Di vulcani, alla radice del sale,
Discesi dall’alto al basso
Mondo, figurati sul piede
Dell’imbarco come per simbolo
Della meridionale specie,
Spatriavano, il passo di pece
Avanzato a più nere sponde,
Al tenebroso, oceanico
Oltremare, al loro antico
Avverso futuro di vivi.
Isola, sole e luna e moventi
Mortali, misteriosi paradigmi
Di sfingi, puma, leoni ruggenti
Con facia d’uomo, profilo d’enigmi
Rugosi sotto palpebre di belva,
Appostati in una oscura parola,
Nella loro stessa ombra, in una selva
Colore di funebre lava viola.
*
Da Lipari, Milazzo, Caucana,
Dal Conzo, dalla Favignana,
Dalle miniere di Monte Tabuto
(le gallerie di selci come greti
Di fiumi discesi insino
All’aldilà, navigate sepolcreti),
Da Monte Pellegrino, nelle grotte
Dove qualcuno chiese aiuto
Nella profonda notte,
Da Levanzo, da Stentinello,
Da Megara Hyblea, da Paceco,
Da Naxos, per ogni budello
D’arenaria dove la vita un’eco
Lasciò fuggendo, una bava
Di lumaca sull’ocra, sulla lava,
Una frana di formica, un cieco
Verso d’uccello, un’impronta digitale
Sopra un vaso a spirale,
Lo stampo della vita
Rigato da un polpastrello,
Un grido, un graffio: quello e quello
*
Cacciati di qua, dai ruggenti
Enigmi, gli innocenti,
Coi perduti averi, le vite,
Le labra per sempre cucite,
Emigravano nell’aldilà.
S’imbarcavano per quelle rive
In classe unica, ammucchiati
O clandestine nelle stive
Di necropoli come navi olearie.
All’impiedi nelle giare, rannicchiati
Sui talloni, masticando qualcosa
Nella notte, forse tossico
(quali pensieri? quali memorie?)
Nella tenace, paziente posa
Dal cafone resa famosa
*
E realtà e allegoria di gesta
Future, d’offese senza difesa,
D’uomo che a uomo fa vita arresa,
Le mani dietro la testa,
Allacciate alla nuca,
Alle spalle scavata la buca.
Navigavano nell’argilla,
Nel soffice tufo, nelle pieghe
Della pomice, coprendosi di rughe
A emigrare stilla a stilla
Fra la polvere e le atre schiume
Delle necropoli occhiute
Esposte ai lidi, battute
Da echi grigi, lontani,
Di salsedine e cenere insieme,
Di gridi rochi di gabbiani.
Per l’altomare di pietri
Senza stele, fra stasi
E procelle di silenzio, anelito
A non svanire nel nulla, a essere
Seguiti, ritrovati poi
In una scintilla da me, da voi,
Si lasciavano dietro, quasi
Soffiati dall’alito
Nel vetro dei vulcani,
Segni incisi, saluti
Siciliani, gesti muti:
Il ditto sulle labra, le ciglia
Alzate, il silenzio indomito
Di chi vive come in una conchiglia,
Vivo e già morto e graffito.
Oh disegni dell’aurora, quali
Sogni di libertà detti
In gergo di congiurati
Rei confessi vi furono allusi,
Quali pegni inespressi, stretti
Da mani di vivi con occhi
Di morti come nodi al fazzoletto,
Con la fatalità di chi
Emigra e si riposa vinto
Nella posa del feto,
I pugni chiusi sugli occhi,
I ginocchi contro il petto
come in ventre al mistero, in un segreto
barlume di labirinto.
Oh alfabeto di morti
Emigranti, oh linguaggio di dita
Figurato di morte e di vita,
Chi sotto metafora impresse
Un così lucente raggio
Al suo scheletro, chi riflesse
Dal vetro un messaggio
Di libertà che a noi viene, da noi va
Ieri, domani, aldiquà, aldilà?
Con linea esile, d’aria dura,
Grafia labile, esotica
Libertà qui si figura
Cerbiatta malinconica
Che tremula, esterrefatta
Corre l’alea ma intatta
Metafora vola dell’aldilà,
Libertà sempre in fuga, intravista
Sulla immemore pista
Dei morti, così ignota
Da arrossirgli ancora la gota
Libertà un palpito a prua delle barche
Trasmigranti come arche
Nel sale che asciuga le impronte
Di chi muore ed emigra
Con una ruga in fronte
Antico ardire, inerme bramosia
Libertà sia di vivere sia
Di morire, oscuro geroglifico
Dall’eco dileguata di segreti
Murmuri immensi di alfabeti.
Gli altri migravano su chimere,
Per mari d’aria e remare d’anima,
Con dolce tuono di procellarie.
I siciliani emigravano invece
Su navi scalfite su patere
(alito di venti e vele di rame),
In pietrapomice e arenarie,
In tufo calcare e salgemma,
Calati in stive di pece,
I pensieri spiumati di mimosa:
In giare e nicchie, ritti
O chini sui talloni, nella posa
Dei cafoni, nel loro stemma
Di senzaterra, di sconfitti
Carne da macello, qui o là,
In Australia, nell’aldilà,
Oltremare, dovunque sia
Una miniera, un qualsiasi
Budello per seppellire
L’enigmatica frenesia
Di chi per morte s’imbarca
Come su di un’arca
Di libertà, coi bisogni
Stretti alla vita e i sogni
Zavorra viavia
Da gettare e alleggerire
I petti di nostalgia
Mentre diventavano scheletri
E le armi al piede, i vetri
Di ossidiana segnavano,
Buia e struggente
Meridiana di paure,
L’emigrare e le sue figure.
Forse non era l’aldilà
Tutta questa gran novità,
Forse pure di camorra,
Di enigma e d’omertà
Era regno l’aldilà,
Forse pure sottoterra
Sfingi, puma, leoni ruggenti
Mantenevano la Guerra.
Anche di là gli innocenti
Emigrarono, strage su strage,
Da calcare di Pantalica
In America, nel Borinage.
Others migrated: prayers beating
sails of solar barges on toward
celestial seas, supine eternity.
Sicilians emigrated instead.
Coasted under moonless
rumblings, tidal clouds
& dunesand, pale ash writhing
volcanic round sacral saltcellars,
descended from the over
to the underworld, drawn up
at the foot of the embarkation
like symbols of the terrone;
they expatriated, a pitch-dark footfall
left on unlighted shores,
on blueblack, oceanic
overseas, on their ancient
adverse future of living.
Island, sun & moon & mortal
motives, sphinxes, pumas, roaring
lions with men’s faces, wrinkled
enigmas buoying beasts’ eyelids,
mysterious paradigms
lurking in an obscure word,
in their own shadow, their own
forest, funereal & violet & magmatic.
*
From Lipari, Milazzo, Caucana,
from Conzo, from Favignana,
from the mines of Monte Tabuto
(flint arcades like quicksilt
riverbeds descending unto
the afterlife, plumbed cemeteries),
from Monte Pellegrino, the grottos
where somebody sought
deliverance in deepest night,
from Levanzo, from Stentinello,
from Megara Hyblea, from Paceco,
from Naxos, through each sandstone
gut where life let run an echo,
its dribble & foam, a slug
over ochre, over lava,
a landslide of ants, a blind man
birdwatching, a fingerprint
smudge on a helical hydria,
the cast of life
furrowed by a finger pad,
a squall, a scratch: source & spring
*
Chased from here, by roaring
enigmas, the innocents,
with lost belongings, lost lives,
lips sewn shut forever,
emigrated to the afterlife.
They embarked for those shores,
heaped up in steerage
or stowaways in the holds
of oil ship necropoli.
Stood up in funerary jars,
on their heels huddled,
chewing the noxious night,
(what thoughts? what memories?)
in that tenacious, patient pose
made famous by cafones
*
Rub, reality & allegory of future
deeds, indefensible offenses,
men that make men race to death,
hands behind their heads,
fingers laced behind their necks,
shoulder to shoulder with fresh-dug graves.
They went to sea in clay,
in soft tuff, in pumice
pleats, whelmed in wrinkles
& emigrating drop by drop
between the dust & bleak froth
of the sharp-eyed necropoli
exposed to the shore, battered
by distant, grey echoes
of brine & ash entwined,
of the rasping of seagulls.
Over the high sea of stones
without stele, between stasis
& a storm of silence, yearning
not to vanish into the void,
to be followed, rediscovered later
& enkindled by my spark, yours,
they left themselves behind,
as if spit from the breath
bore by glass-eyed obsidian,
engraved signs, Sicilian
greetings, silent gestures:
the finger on the lips, raised
eyebrows, the indomitable quiet
of those that live like hermits in shells,
living & already dead––graffiti.
Oh drawings of the dawn,
what dreams of liberty
were alluded to, hinted at, spoken
in a guilty, avowed conspirators’ cant,
what unspoken pledges, sealed
by live hands with lifeless eyes
like knots in a neckerchief,
sealed with the fate of those
who emigrate & rest, routed,
in the fetal position,
fists closed over the eyes,
knees against the chest
like in the womb of mystery,
a puzzled, labyrinthine glimmer.
Oh syllabary of dead emigrants,
Oh animated finger-point prosody
steeped in death & in life,
who, with metaphor for ink,
impressed such radiance
on your skeletons & reflected,
like a looking glass, a message
of freedom that comes & goes from us
yesterday, tomorrow, here & now, hereafter?
With faint, aired-out line,
fickle, fleeting handwriting,
here freedom conjures itself
as a melancholy fawn
that tremulous & astonished
casts the die & flies unbroken
& metaphoric from the afterlife,
freedom forever in flight,
foreseen in a dead man’s
hand, thus unknown
by the still blush of its jowls
Freedom a throb at the prow
of arks transmigrating
in the salt that dries the footprints
of those who emigrate & die
with a furrowed forehead
Ancient daring, helpless yearning
freedom both to live & to die,
raisin-dark hieroglyph
scattered from the sounding
of immense murmurs & secret syllabaries.
Others migrated on chimeras,
through air afloat & rows of rancor,
with sweet thunder of seabirds.
Sicilians emigrated instead.
On ships affected by libations
(wisps of wind & copper canvases),
in stone-pumice & sandstone,
in tuff, limestone, & rock salt,
lowered into holds of pitch,
thoughts plucked from silk trees:
in funerary jars & hollows, upright
or head over heels, that pose
made famous by cafones, that skin-deep
scutcheon of the landless & defeated
Meat for slaughter, here or there,
in Australia, in the afterlife,
abroad, anywhere there’s
a mine, whatever
gut can bury
the enigmatic frenzy
of those who embark for death
on transmigrating arks,
freedom a throb at the prow,
wearing too-tight needs
& dreams gradually
thrown away like ballast
to lighten the breasts of nostalgia
while they became skeletons
& weapons on the march,
obsidian mirrors marked,
dark & poignant
sundial of all fears,
emigration & all its faces.
Perhaps it was not the afterlife,
all this great novelty, perhaps
the afterlife was a kingdom,
even, of the camorra,
of the enigma & omertà,
perhaps even subterranean
sphinxes, pumas & roaring lions
upheld the War.
From there, too, the innocents
emigrated, slaughter upon slaughter,
from the limestone of Pantalica
to America, to the Borinage.